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Analisi Normative e Concetti Dir. Sportivo

09/12/2020
Il libro bianco sullo sport (CCE, commissioni delle comunità europee, 2006), ha esaltato lo sport come attività ludica che ha come fine il benessere della persona, come strumento per la cittadinanza europea e la sua capacità nella realizzazione dell'inclusione sociale in tutti i contesti educativi, formali e non formali, in tutte le età e con le popolazioni diverse. 
Lo sport rappresenta un progetto socio-culturale della società, in quanto contiene mezzi e risorse, che una volta accumulate e trasmesse, possono trasformare e migliorare la vita delle persone e delle comunità. Oltre ad essere un progetto culturale e ludico-ricreativo, lo sport è anche un progetto istituzionale con una interconnessione con il mondo e la società: contiene un microsistema e un macrosistema. 

In quanto fenomeno microsociale, esso implica la presenza di istituzioni, di enti socio-educativi come la famiglia, la scuola. Comprende ancora le istituzioni culturali, la religione, i mezzi di comunicazione, le arti. Come fenomeno sociale, lo sport è un gigante come ha sostenuto il pedagogista Cagigal (Cacigal, 1981) che implica non solo una diversità di valori che configurano la società attuale, ma è anche una forma di sviluppo e inclusione sociale. 

Ogni considerazione riguardante rapporti di natura “giuridica” inerenti allo sport non può prescindere da un’analisi preliminare del rapporto esistente tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento statale. O meglio, dalla collocazione della “giurisdizione” dello sport nel contesto di quella statuale.
Allo stato attuale sembra pacificamente acquisita la connotazione di giuridicità dell’ordinamento sportivo, quale ordinamento di settore che, sia pur non dotato di sovranità origina- ria, è caratterizzato da un’ampia sfera di autonomia. Questa è stata, però, una conquista venuta al termine di un acceso dibattito dottrinale che ha visto contrapposti studiosi di grande spessore su en- trambe le posizioni e che ha trovato univoca soluzione solo con l’intervento statale in sede legislativa.
Inizialmente quasi univoca e dominante ma rimasta via via minoritaria, una parte della dot- trina, sosteneva la non giuridicità di tale ordinamento, sottolineandone la natura essenzialmente tec- nica, in quanto organizzatrice di una attività peculiare come, appunto, la pratica sportiva. Per il Furno183, il fenomeno sportivo, pur rilevante nella società, altro non era che “un complesso o un siste- ma di giochi” ed inoltre non si poteva “neppure lontanamente configurare alcuna interferenza o collisione tra l’ordinamento giuridico statale e l’ordinamento tecnico sportivo” in quanto “eterogenei e situati su piani differenti”. Il diritto e la regolamentazione del gioco erano considerate insom- ma categorie ben distinte ed autonome. Al massimo, in posizione più sfumata ma concettualmente
183 C. Furno,”Note critiche di giochi, scommesse e arbitraggi sportivi”, Rivista Trimestrale Italiana di Diritto Processua- le Civile, 1952.
  
Ancorata alla prospettiva negativa di ogni giuridicità, il Carnelutti sosteneva la comparabilità tra sport e diritto solo ed in quanto nello sport i competitori erano costretti a concordare regole tecniche senza il cui rispetto non poteva esercitarsi il gioco. Si aveva, però, una scarsa utilità, uno scarso pe- so del diritto all’interno di questo sistema disciplinato da regole di natura tecnica ed uniformato al principio ispiratore del “fair play”.

Intorno agli anni Trenta, la dottrina prevalente riconosceva al più natura convenzionale a quegli atti, quali statuti e regolamenti, che servivano a disciplinare ogni organismo associativo, al pari di quanto veniva riservato, sul presupposto della tesi negoziale, ad associazioni politiche, con- fraternite ed ordini religiosi.

Privi ancora di specifica disciplina, le disposizioni che promanavano dalle organizzazioni sportive venivano parificate in tutto e per tutto a questi altri modelli giuridici, riconoscendo loro la natura contrattualistica del “patto sociale” oppure, al più, di “contratto per a- desione”. Non mancò chi, come Iannuzzi, faceva notare come, anche attraverso l’autonomia negoziale, fosse impossibile spiegare solo con gli accordi tra gli associati un’intera e complessa orga- nizzazione costituita alla stregua dello Stato, con netta distinzione di poteri, organi dotati di autorità e soggetti sottoposti.
Fu il Cesarini Sforza, per primo a parlare di “ordinamento giuridico sportivo”, tentando una ricostruzione del fenomeno sportivo come ordinamento nell’ambito di quello che chiamò “il diritto dei privati”.

Nel dualismo posto tra organizzazioni “diffuse”e organizzazioni “specializzate”, l’ordinamento sportivo viene considerato tra le prime. La giuridicità di queste non deriva dalla posizione acquisita all’interno della gerarchia esistente nell’ambito del diritto statale, in quanto queste formazioni giuridiche non sono sottoposte, ma piuttosto parallele, all’ordinamento statuale. Tale indirizzo dottrinale fu molto importante in quanto riuscì a tracciare un determinante solco in un contesto dottrinale in cui non riusciva ancora ad emergere in tutta la sua (successiva) evidenza quella concezione pluralistica degli ordinamenti189 per cui da anni spingeva il Santi Romano190.

189 Nella celeberrima teoria istituzionalistica, Santi Romano sosteneva che potesse configurarsi la sussistenza di un or- dinamento giuridico ogniqualvolta si fosse ravvisata la presenza di un insieme di soggetti organizzati in strutture prede- finite e retti da regole certe. Secondo il Romano i requisiti dell’ordinamento giuridico sono: la società (ossia l’insieme dei soggetti), la normazione (ossia il complesso delle regole organizzative), l’ordine sociale (ossia il sistema delle strut- ture entro cui i soggetti membri della società si muovono). Tale posizione ebbe riscontro anche in Francia (con Maurice Hauriou - si veda “Teoria dell’istituzione e della fondazione”, in collana Civiltà del diritto, vol. 16, Giuffrè, Milano,
   
Questi considerava insufficiente la nozione di diritto come norme che costituiscono l’ordinamento191, in quanto quest’ultimo, inteso come istituzione o come organizzazione, trascende e condiziona il suo aspetto meramente normativo: l’istituzione è organizzazione ed il momento isti- tutivo precede e produce quello normativo192.
Il processo di pluralizzazione di ordinamenti sociali non è una novità assoluta nella società contemporanea in quanto specialmente i gruppi con finalità generali e con pretese di originarietà ed esclusività (si pensi alle confessioni religiose, a gruppi etnici, a comunità nazionali e territoriali che non sono ancora riuscite a costituirsi in comunità politiche sovrane) affondano le loro origini stori- che oltre l’affermarsi stesso dello Stato moderno. E’ indubbio che la loro riaffermazione all’interno degli ordinamenti stabili è di data più recente, così come il loro più o meno esplicito riconoscimento da parte di questi. La sempre crescente importanza sul piano sociale di ordinamenti diversi da quel- lo statale ha, di fatto, indotto i giuristi ad approdare verso una concezione pluralista degli ordina- menti giuridici, quindi verso una pluralità di ordinamenti dalla più svariata caratterizzazione.

 Ogni ordinamento giuridico è una istituzione e, viceversa, ogni istituzione è un ordinamento giuridico: l'equazione fra i due concetti è necessaria e assoluta. Cosicchè l'espressione "diritto" in senso obiettivo, secondo noi, può ricorrere in un doppio significato, può cioè, designare anzitutto: a) un ordinamento nella sua completezza e unità, cioè una istituzione; in secondo luogo: b) un precetto o un insieme di precetti (..) per distinguerli da quelli non giuridici, diciamo istituzionali, mettendo così in evidenza la connessione che essi hanno con l'ordinamento intero, ossia con l'istituzione di cui sono elementi, connes- sione che è necessaria e sufficiente per attribuire loro carattere giuridico".
191 H. Kelsen, “La teoria pura del diritto”, Torino, 1966.
192 “Ogni ordinamento giuridico- ritiene Santi Romano- è perciò un’istituzione e viceversa ogni istituzione è un ordi- namento giuridico ”. S. Romano, op.cit., pag. 28.
193 M.S. Giannini, “Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi”, Rivista di Diritto Sportivo, 1949, pag. 10.
  
L’ordinamento sportivo, se da un lato marca le distanze dall’ordinamento giuridico statale, dall’altro ha al suo interno una serie di categorie, una sorta di ordinamenti particolari a seconda che si tratti di agonismo occasionale o di agonismo a programma illimitato (soggetti più numerosi, complessa organizzazione e gestione).

Solo attraverso l’ipotesi ordinamentale si rende possibile la percezione di una peculiarità del fenomeno sportivo: il fine non utilitaristico dei soggetti sportivi, tesi al continuo miglioramento dei risultati. Un fine che resta senz’altro principale pure in presenza di altri fini concretamente utilitari- stici (si pensi al fine economico degli sportivi). L’attività agonistica a programma illimitato presup- pone la indispensabile presenza di regole, le quali vanno di fatto a costituire il sistema ordinamentale sportivo. La giuridicità è assicurata non solo dalla forma di “comando” o di “divieto” di tali re- gole ma anche dal loro grado vincolante, capace di assicurarne l’osservanza grazie alla presenza di organi preposti. La regola del gioco si fa giuridica e l’ordinamento sportivo in cui essa è calata vie- ne a disporre di un apparato “normativo” in tutto e per tutto.

Gli ordinamenti sportivi rappresentano, in definitiva, un complesso di norme di natura propriamente giuridica in quanto provvisti dei presupposti costitutivi fondamentali, vale a dire la normazione, la pluralità dei soggetti e la loro organizzazione.
194 Secondo M.S.Giannini "Il gruppo organizzato ed effettivamente produttore di norme proprie dicesi ordinamento giuridico.

Descrittivamente si può anche dire che ordinamento giuridico è un gruppo di soggetti, che per interessi comuni si organizza, conferendo a una autorità dei poteri, e dandosi delle norme che hanno una effettiva vigenza. Le componenti primarie dell'ordinamento sono quindi la plurisoggettività (complesso dei componenti il gruppo), l'organizzazione e la normazione”.

Sviluppando l'ipotesi della pluralità degli ordinamenti giuridici, la dottrina giunge dunque a definire con precisione quali siano gli elementi necessari degli ordinamenti giuridici (cioè gli elementi in assenza dei quali non può parlarsi di ordinamento giuridico) e arriva anche a definire quali possano essere i rapporti tra i vari ordinamenti giuridici.
195 I. e A. Marani Toro, “Gli ordinamenti sportivi”, Giuffrè, Milano, 1977. 120
        
Fatte tali premesse, resta da sottolineare con il Luiso196 che, se da un lato l’esistenza di un sistema di norme tecnico-disciplinari rappresenta la più evidente dimostrazione dell’effettiva consi- stenza di un ordinamento giuridico sportivo, dall’altro tale autosufficienza rispetto al diritto statale non può finire per precludere la presenza di ogni genere di diritto in quel contesto associativo. O finire, addirittura, per far affermare la prevalenza sull’ordinamento statale in ragione della sua specialità (come sostiene il Mirto)*, in realtà capace di sviluppare una propria forza solo tra norme di pa- ri ordinamento.
Gli orientamenti dottrinali emersi in diversi decenni relativamente al rapporto tra l’ordinamento statale e quello sportivo e relativamente alla possibilità di quest’ultimo di trovare una propria riconosciuta dimensione, sono essenzialmente di due tipi: l’uno “monista”(o “statualista”), l’altro “pluralista”.Secondo il primo indirizzo non è possibile configurare un ordinamento giuridico ulteriore rispetto a quello dello Stato, in quanto solo in capo a quest’ultimo esiste il compito di “or- ganizzare” la collettività sociale. La concezione pluralista, invece, fa risiedere il diritto nelle singo- le istituzioni sociali e, di fatto, ammette a pieno titolo le norme giuridiche interne ad ogni gruppo sociale organizzato.

Nessuna di tali posizioni riesce a garantire una soluzione univoca al problema, trovando ac- cettazione totale. Alla concezione pluralista del diritto è contestata, in primis, l’impossibilità di ap- plicazione della regola sportiva in assenza di un concreto intervento del diritto statale, in considera- zione della possibilità sempre concessa allo sportivo, anche in presenza di particolari clausole com- promissorie e vincoli di giustizia, di adire l’ autorità giurisdizionale statale per difendere le proprie ragioni. I fautori della teoria pluralista, come si è visto, sottolineano l’esistenza di un ordinamento sportivo accanto a quello statale, dotato al pari di questo di poteri normativi e giudiziari finalizzati essenzialmente alla regolamentazione dell’attività settoriale, finendo per prefigurare un rapporto di reciproco “non disconoscimento” tra i due ordinamenti.
Al di là delle varie idee espresse in dottrina, elementi importanti per la definizione della ma- teria sono desunti ed ancorati a presupposti prettamente normativi.
Il primo riferimento è senza dubbio la legge16 febbraio 1942 n. 426 istitutiva del Comitato Olimpionico Nazionale Italiano (CONI). Pur essendosi l’ente formato già in tempi precedenti198, ta-
* F.P.Luiso, “La giustizia sportiva”, 1975.
 
La legge segna di fatto un importantissimo cambio di prospettiva rispetto alla concezione di quanti, in precedenza, avevano legato sul piano dottrinale la giuridicità dell’ordinamento al suo concreto potere di autodeterminazione ed alla sua capacità sanzionatoria, attuata quest’ultima attraverso un apposito sistema disciplinare interno. L’emanazione della legge 426/42, con tutti i successivi provvedimenti di attuazione e modifica, ha dato al CONI una regolamentazione organica con qualifi- che e funzioni ben definite, contribuendo a dare soluzione alle numerose dispute che, nel campo delle vicende sportive, vedevano impegnate tanto la dottrina che la giurisprudenza.

Nel 1942 l’ordinamento statale, attraverso questo intervento legislativo, viene a riconoscere quello sportivo, dando una veste pubblicistica all’ente CONI senza sminuirne la libertà d’azione, dando rilevanza statuale alle attività (finalizzate alla organizzazione e potenziamento dello sport nazionale) poste in essere dai soggetti operanti nel suo ambito. Esso non è però creazione di un sistema, in quanto l’ordinamento sportivo aveva già in sé le caratteristiche dell’originarietà e dell’autonomia, attingendone la fonte dall’ordinamento giuridico internazionale di cui è emanazione.
Altro punto di vista fondamentale è quello della nostra Carta Costituzionale200. Questa, co- me si è notato in precedenza, per motivi di natura politico-sociale201, non ha previsto riferimenti e- spliciti e diretti al fenomeno sportivo, inteso sia come attività del singolo che di organizzazioni ed enti, almeno fino al 2001. L’ obiettivo era forse quello di sottrarre lo sport ad una ingerenza indebita da parte dello Stato, con una gestione di un fenomeno sociale a fini politici o addirittura militari o, comunque, per scopi estranei alla sfera dei suoi fruitori



La legge 14 dicembre 2000 n. 376 (“Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping" il cui art. 1 comma 1 prevede: “L’attività sportiva è diretta alla promozione della salute individuale e collettiva e deve essere informata al rispetto dei principi etici e dei valori educativi richiamati dalla Convenzione contro il doping, con appendice, fatta a Strasburgo il 16 novembre 1989, ratificata ai sensi della legge 29 novembre 1995, n. 522. Ad essa si applicano i controlli previsti dalle vigenti normative in tema di tutela della salute e della regolarità delle gare e non può essere svolta con l’ausilio di tecniche, metodologie o sostanze di qualsiasi natura che possano mettere in pericolo l’integrità psicofisica degli atle- ti”). Sulla indisponibilità del diritto alla salute in ambito sportivo, Cass. Civ., Sez.Lav., 30 agosto 2000 n. 11404, in Ri- vista di Diritto Sportivo, 2001, pag. 204.
208 Art. 32 Cost.:“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Punto principale della interpretazione “statualista” è l’art. 2 Cost., il quale, dopo aver riconosciuto i diritti inviolabili dell’uomo come singolo e nelle formazioni sociali, richiede l’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. La stessa Repubblica è chiamata a svolgere un ruolo attivo non solo nel garantire i diritti dell’art.2 Cost., ma anche di assicurare l’uguaglianza formale e sostanziale, di tutelare la salute (art. 32 Cost.) ed il lavoro (art.4 e 35 Cost.), di promuovere efficienza ed imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.). Pur nelle sue manifestazioni di carattere privato (le associazioni e le società), il fenomeno sportivo coinvolgere interessi di natura pubblica, capaci di dare attuazione giuridica all’autonomia privata, evidentemente limitata. Tali ordinamenti di carattere privato, quindi, rappresenterebbero solo un sistema differenziato di regole ed organizzazione, che devono poi necessariamente inserirsi nell’ordinamento costituzionale. L. Di Nella, “Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico”, Ed. Scientifiche Italiane, 1999.

Secondo la tesi pluralistica, il riferimento costituzionale fatto dall’art. 11 Cost. (relativamente alla promozione ed al favore riconosciuto alle organizzazioni internazionali che perseguono i fini della pace e della giustizia tra le Nazioni, acconsentendo anche a “limitazioni di sovranità”) porterebbe ad attribuire all’ordinamento sportivo internazionale (il Movimento Olimpico) il carattere dell’originalità e quindi il conseguente riconoscimento della esclusività delle sue re- gole, di fatto applicabili senza alcuna attività mediata dello Stato. Il fenomeno sportivo, pur legato ad un ordinamento privo di territorialità e quindi di sovranità, sarebbe comunque autonomo per quanto riguarda le regole della disciplina tecnica, mentre nella fase applicativa non risulterebbero tali norme del tutto indifferenti rispetto all’ordinamento statale.

Tale autonomia viene, inoltre, fatta discendere dall’art. 5 Cost., laddove oltre alle autonomie locali, potrebbero rientrare anche altre forme associative, come l’ordinamento sportivo nazionale. 

Il rapporto tra gli ordinamenti, però, pur in presenza di una legislazione statale appositamente dedicata al fenomeno sportivo in generale o disciplinante specifici ambiti, viene a porsi all’attenzione di giuristi ed operatori costantemente ogni qualvolta vengono a delinearsi controver- sie interpretative. Ed è qui che la conflittualità delle norme riaccende il dibattito interpretativo.
Passo necessario e preliminare rispetto all’esame delle ipotesi di conflittualità dei due ordinamenti è quello della definizione, in chiave sportiva, dell’esistenza o meno delle caratteristiche di originarietà e di sovranità.
In tema di originarietà, bisogna considerare con attenzione le relazioni esistenti e soprattutto la capacità dell’ordinamento sportivo di legittimarsi in sè stesso oppure nella necessità di una sua legittimazione all’interno dell’ordinamento statale. La dottrina ha riconosciuto origini antichissime all’attività sportiva, talvolta anche primigenia rispetto agli altri ordinamenti217. In contrapposizione alle attività dettate dalla legge della sopravvivenza, il “gioco” può essere visto come la più umana e libera delle attività, tanto da spingere le scienze umanistiche a considerare la nostra specie come quella dell’HomoLudens218 e da individuare la nascita e lo sviluppo di diversi fenomeni naturali nel- la ripetizione agonistica migliorativa. Si tratta certamente di un indirizzo molto suggestivo, ma che si è prestato a più di una critica, a partire dalla tradizione marxista che, ancorata ad una concezione materialista, considerava la nascita del fenomeno sportivo connessa alla organizzazione dei sistemi di produzione ed alla redistribuzione della ricchezza.
In realtà, la posizione maggioritaria in dottrina è quella, certamente più cauta, che fa risalire l’origine dei processi organizzativi unicamente alla volontà dell’individuo di raggiungere scopi utilitaristici e di soddisfare bisogni essenziali: sebbene la componente organizzativa abbia svolto un ruolo fondamentale per lo sviluppo del fenomeno sportivo, solo la “ripetizione agonistica” in contesti differenti, ha favorito la nascita di ordinamenti sempre più complessi. Quello sportivo, quindi,

Autorevole giurisprudenza ha considerato l’ordinamento sportivo come un “ordinamento settoriale e base plurisoggettiva”, cioè un ordinamento autonomo ed originario che si fonda sull’ordinamento giuridico internazionale e ha potestà amministrativa e normativa.
La norma dell’art. 2 della Costituzione, nella misura in cui “la Repubblica riconosce e ga- rantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, rappresenta la fondante espressione del personalismo sociale, vale a dire quella teoria secondo cui la personalità umana si esprime anche all’interno di formazioni sociali. Il fenomeno associativo, sportivo nel nostro caso, è strumentale rispetto alla realizzazione di questi fini, ulteriormente protetto e garantito dalle previsioni dell’art. 18 Cost. in tema di libertà di associazione.
Il fenomeno dell’associazionismo sportivo in Italia rientra nei cosiddetti “ordinamenti setto- riali”, quel sistema organizzativo che fa capo al CONI a livello nazionale ed al CIO a livello inter- nazionale221 ed in conformità ai cui dettami esso svolge la propria attività. Da ciò deriva che la ca- pacità di dettare regole che vincolano i propri affiliati e la devoluzione a precisi organi della loro applicazione, per l’ordinamento sportivo non è solo compatibile con i principi costituzionali statali, ma ne è addirittura applicazione.
La necessità di assicurare al complesso sistema sportivo autonomia organizzativa e normativa, derivante principalmente da esigenze tecniche, costringe a considerare con grandissima atten- zione i rapporti intercorrenti tra gli ordinamenti statali e quelli sportivi, specie con riferimento alla
219 M.S. Giannini, op. cit., pag. 18.
220 Corte di Cassazione, 11 febbraio 1978, n. 625, in Foro Italiano, 1978,I, 862. 221 Così come già sottolineato all’art. 2 del D.Lgs 242 del 1999.
   
Nodo centrale dunque del rapporto tra i due ordinamenti è la risoluzione dei conflitti , vale a dire quelle controversie che sono connesse allo sport sia in senso oggettivo, perché scaturanti da e- venti legati funzionalmente alla pratica sportiva, che in senso soggettivo, perché almeno uno dei soggetti coinvolti è legato ad istituzioni sportive. Il campo di esplicazione di questa coesistenza di interessi ed influenze, come ben può immaginarsi, è molto ampio e le difficoltà maggiori sono lega- te alla difficoltà di utilizzare parametri di risoluzione quanto più generali ed astratti, quindi validi per tutti, ed alla non infrequente difficoltà di comporre le questioni semplicemente attraverso stru- menti giuridici.

In particolare, alcuni conflitti si prestano ad essere risolti facendo ricorso agli strumenti a disposizione della giurisdizione interna, peculiare dell’ordinamento sportivo; altri invece ben diffi- cilmente possono essere sottratti alla naturale sfera di tutela prestata dai giudici statali e, sempre più di frequente, anche comunitari.

Il mondo dello sport si trova quindi nella posizione di essere sollecitato a predisporre criteri di risoluzione per tali controversie latamente “sportive”, ma anche a limitare quanto più l’intervento degli organi giurisdizionali ordinari. Ed è in questo crescente contatto, quanto non appunto conflit- to, che si sviluppa il confronto tra le due realtà. L’una, quella sportiva, arroccata in difesa delle proprie peculiarità e dei propri strumenti di autotutela; l’altra, quella ordinaria, sempre più penetrante nei suoi interventi all’interno di aree (si pensi a quella lavoristica o economica ma anche civile e penale) in cui più frequentemente sorgono momenti di litigiosità tra soggetti sportivi. Il giusto punto di equilibrio dovrà certamente consentire all’ordinamento statale di tenere in debito conto la parti- colarità di tali situazioni, che non sempre possono, sic et simpliciter, essere trasbordate nei canoni della comune vita sociale. 

L’attività sportiva, come freddamente è stato dimostrato in occasione del “caso Bosman”, ha fatto sempre fatica ad accreditare nella prospettiva comunitaria una propria presunta “specialità” per ottenere deroghe tali da non vedere sottoposte a sindacato da parte della Corte di Giustizia alcune sue peculiari disposizioni. Tre sono i settori entro cui, più di tutti, può manifestarsi la convergenza tra la normativa sportiva, quella statale interna e quella comunitaria: le norme restrittive dei tesseramenti di atleti e tecnici in base alla nazionalità in rapporto alla libera circolazione dei lavoratori protetta dai Trattati Ue; le pratiche di cessione di diritti di immagine (si pensi a quelli televisivi) e la normativa comunitaria anti-trust; la normativa dei contratti sportivi e delle rispettive clausole in raffronto con la corrispondente normativa comunitaria.

Non sempre, in verità, l’intervento degli operatori del diritto statuale e comunitario è stato realmente felice, mancando spesso di una coerente va- lutazione di ciò che rappresenta il fenomeno sportivo e di una reale conoscenza delle sue peculiari- tà. Comunque, tale attenzione sembra essere diventata un dato di fatto con cui confrontarsi, spe- cialmente se si considera la crescente importanza che lo sport si è ricavato all’interno della società e quindi in tutti i suoi settori, siano essi economici, politici o sociali. Settori che parallelamente coinvolgono il mondo del diritto e la propria capacità di approntare risoluzioni coerenti ai conflitti che emergono.
7.1.2 I vincoli di giurisdizione interna e la clausola compromissoria.
Proprio nell’ambito delle competenze e degli spazi normativi e regolamentari concessi per sviluppare al meglio i compiti di organizzazione della pratica sportiva, va ricercato il presupposto di esistenza del cosiddetto “diritto sportivo”. In considerazione del carattere ludico, il rispetto delle regole rappresenta requisito essenziale ed indispensabile per un corretto e regolare svolgimento delle competizioni. Fondamentale è quindi la prevenzione e la repressione di ogni tipo di violazione
L’intero complesso codificato di regole e procedure di tutela noto come “giustizia sportiva”, può ben definirsi, con il Coccia, come “quel settore dell’ordinamento sportivo deputato ad accertare e punire l’inosservanza, da parte degli associati, delle regole poste per il buon funzionamento della federazione ed il raggiungimento dei suoi scopi”. La fin troppo facile trasposizione teorica con il funzionamento del sistema di norme precettive e sanzionatorie operanti nell’ambito dell’ordinamento statale, non deve però prefigurare parallelismi automatici quanto ingannevoli. La giustizia sportiva, infatti, vanta una marcata differenziazione sia dal punto di vista della caratteriz- zazione delle norme (cioè della previsione e configurazione dei vari comportamenti illeciti) che dal punto di vista delle procedure a tutela delle posizioni soggettive dei singoli associati.
Presupposto di operatività di questo sistema, come per tutti gli ordinamenti giuridici di setto- re, è che ogni soggetto sportivo sia qualificato tale in forza di una “adesione” tramite apposite pro- cedure: il tesseramento per atleti, tecnici e figure dirigenziali; l’affiliazione per l’associazione spor- tiva o la società. Con tale atto formale, il soggetto acquista quello status all’interno
222 Non si allude solo alle regole propriamente tecniche e di esecuzione della disciplina, ma anche a quei precetti morali di lealtà e correttezza che devono inevitabilmente animare tutti i partecipanti al fenomeno sportivo.
223 M. Coccia, “Risoluzione dei conflitti nell’ambito sportivo”, da www.jusport.es, 2000.
  
Entrato all’interno del sistema sportivo, il soggetto, automaticamente si trova al centro di due tipi di situazioni:
- il “vincolo sportivo” che lo lega ad un sodalizio e ne consente, ove non lo obbliga (nel caso del professionismo), alle prestazioni sportive in favore di questoin cambio di un eventuale ed ade- guato compenso;
- il “vincolo di giustizia”, che lo obbliga al rispetto dei principi di lealtà, delle norme statuta- rie e regolamentari e delle conseguenti previste procedure interne di risoluzione delle varie controversie.

Gli statuti delle Federazioni Sportive presentano un peculiare strumento a disposizione del sistema di giustizia sportiva: la cosiddetta “clausola compromissoria”. E’ nella previsione di questa che sono racchiusi gli obblighi per tutti gli associati, da un lato all’accettazione e al rispetto delle norme e dei provvedimenti federali e dall’altro alla devoluzione esclusivamente agli organi federali di tutte le controversie insorte.
L’articolo 30 dello statuto della Federazione Italiana Giuoco Calcio sancisce come tutti i soggetti facenti parte dell’organizzazione federale hanno l’obbligo di osservare Statuto e norme federali e che, in ragione dell’appartenenza “all’ordinamento settoriale sportivo o dei vincoli assun- ti con la costituzione del rapporto associativo” essi “accettano la piena e definitiva efficacia di qualsiasi provvedimento adottato dalla FIGC, dai suoi organi o soggetti delegati, nelle materie comunque riconducibili allo svolgimento dell’attività federale nonché nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico”.
224 Tali sono considerati, a norma del comma 1 dell’art. 30 dello Statuto FIGC “I tesserati, le società affiliate e tutti i soggetti, organismi e loro componenti, che svolgono attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevanti per l’ordinamento federale”.
225 Al comma 3, l’art. 30 dello Statuto appresta un’ulteriore garanzia: “Le controversie tra i soggetti di cui al comma 1 o tra gli stessi e la FIGC, per le quali non siano previsti o siano esauriti i gradi interni di giustizia federale, sono devolu- te, su istanza della parte interessata, unicamente alla cognizione arbitrale della Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport presso il CONI (ora Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, nda), secondo quanto disposto dai rela- tivi regolamenti e dalle norme federali, e sono risolte in via definitiva da un lodo arbitrale pronunciato secondo diritto da un organo arbitrale nominato ai sensi dei regolamenti della Camera. Il tentativo di conciliazione prescritto dall’art. 12 dello Statuto del CONI viene espletato unicamente nell’ambito del procedimento arbitrale non oltre la prima udien- za di trattazione da parte dell’organo arbitrale nominato ai sensi dei regolamenti della Camera. Non sono soggette ad arbitrato le controversie decise con lodo arbitrale in applicazione delle clausole compromissorie previste dagli accordi collettivi o di categoria o da regolamenti federali, le controversie decise in primo grado dalla Commissione Vertenze Economiche, le controversie decise in via definitiva dagli Organi della giustizia sportiva federale relative ad omologa- zioni di risultati sportivi o che abbiano dato luogo a sanzioni soltanto pecuniarie di importo inferiore a 50.000 Euro, ovvero a sanzioni comportanti: a) la squalifica o inibizione di tesserati, anche se in aggiunta a sanzioni pecuniarie, inferiore a 20 giornate di gara o 120 giorni; b) la perdita della gara; c) l’obbligo di disputare una o più gare a porte chiuse; d) la squalifica del campo.”.
 
La norma statutaria, al successivo comma 4, da un lato fa salvo “il diritto ad agire innanzi ai competenti organi giurisdizionali dello Stato per la nullità dei lodi arbitrali di cui al comma prece- dente” prevedendo che “il Consiglio Federale, per gravi ragioni di opportunità, può autorizzare il ricorso alla giurisdizione statale in deroga al vincolo di giustizia” e dall’altro intima come “ogni comportamento contrastante con gli obblighi di cui al presente articolo, ovvero comunque volto a eludere il vincolo di giustizia comporta l’irrogazione delle sanzioni disciplinari stabilite dalle norme federali”. Sanzioni dettagliatamente previste all’interno del Codice di Giustizia Sportiva226.
Tali orientamenti si sono rafforzati, con innovazione delle previsioni normative, anche gra- zie alle previsioni della legge 280/2003227 grazie alla norma in cui, definendo le competenze riser- vate al sindacato del giudice amministrativo, viene fatto salvo “quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano e dalle Federazioni Sportive di cui all’art. 2 comma 2 (che impone alle società, alle asso- ciazioni, agli affiliati ed ai tesserati di adire gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo, n.d.a.), nonché quelle inserite nei contratti di cui all’art. 4 della legge 23 marzo 1981 n. 91”.
In pratica, lo Stato, è intervenuto in maniera specifica e dettagliata da un lato definendo le competenze dell’ordinamento sportivo e dall’altro salvaguardando il “vincolo di giustizia”. Tale o- perazione ha consentito di blindare uno dei capisaldi normativi del mondo sportivo, quella disposi- zione che riesce a tenere unito l’intero sistema sotto l’imposizione delle stesse regole, evitando di fatto quelle disgregazioni e quelle corse all’esterno che, come numerose vicende hanno dimostrato negli ultimi anni, comporterebbero la fine dell’impianto ordinamentale stesso. Il consentito accesso alla Giustizia Amministrativa, difatti, viene reso possibile solo dopo l’esaurimento di tutti i gradi di giudizio in sede sportiva. Chi entra volontariamente a far parte dell’ordinamento sportivo deve, conseguentemente, accettare i provvedimenti adottati dagli organi federali e la loro esclusiva com-
226 L’articolo 15 del CGS (Violazione della clausola compromissoria): “1.I soggetti tenuti all'osservanza del vincolo di giustizia di cui all'art. 30, comma 2, dello Statuto federale, ove pongano in essere comportamenti comunque diretti alla elusione e/o violazione del predetto obbligo, incorrono nell'applicazione di sanzioni non inferiori a: a) penalizzazione di almeno tre punti in classifica per le società; b) inibizione o squalifica non inferiore a mesi sei per i calciatori e per gli allenatori, e ad anni uno per tutte le altre persone fisiche. 2. Fatte salve eventuali diverse disposizioni, in ogni caso, in aggiunta alle sanzioni sopra indicate, deve essere irrogata una ammenda: per le società di serie A da € 20.000,00 ad € 50.000,00; per le società di serie B da € 15.000,00 ad € 50.000,00; per le società di serie C da € 10.000,00 ad € 50.000,00; per le altre società da € 500,00 ad € 20.000,00; per le persone fisiche appartenenti al settore professioni- stico della LNP da € 10.000,00 ad € 50.000,00; per le persone fisiche appartenenti al settore professionistico della LPSC da € 5.000,00 ad € 50.000,00 per le persone fisiche appartenenti al settore dilettantistico da € 500,00 ad € 20.000,00. 3. Nel caso di ricorso all’autorità giudiziaria da parte di società e tesserati avverso provvedimenti federali in materie riservate agli Organi della giustizia sportiva o devolute all’arbitrato si applicano le sanzioni previste dai commi precedenti, nella misura del doppio “.
227 Legge 17 ottobre 2003 n. 280 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 19 agosto 2003 n. 220 re- cante disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva “(pubblicata in G.U. n. 243 del 18 ottobre 2003).
228 Art.3 comma 1 della legge 280/2003.
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GABRIELE GRAVINA
Appunti di Organizzazione & Management delle aziende sportive
petenza a dirimere le previste questioni di conflitto. La preclusione per i tesserati di rivolgersi ad al- tre autorità, comprese quella giudiziaria statale ed amministrativa, comporta, in caso di violazione, addirittura l’espulsione dei trasgressori dai quadri organizzativi federali.
Proprio la rigidità di tale disposizione l’ha posta, con sempre maggior frequenza nel recente passato, più volte al centro dell’attenzione della dottrina circa la sua compatibilità con i principi dell’ordinamento statale. In particolare, è da sottolineare come la previsione di questa sorta di ob- bligo di esclusività per la giurisdizione interna, non si possa configurare, sia pur considerando la correlata sanzione dell’esclusione dai ranghi, come una riserva assoluta di giurisdizione. Al sogget- to sportivo, infatti, non può essere preclusa in alcun modo la possibilità di trovare tutela presso il giudice statale per le proprie istanze. Agire in giudizio per la tutela dei propri diritti è infatti azione garantita dalla stessa Costituzione (all’articolo 24), ed ovviamente di fronte a questo, le norme spor- tive non possono che soggiacere, non potendo vantare forza tale da potervi resistere. Salvo doversi considerare i “paletti” normativi posti attraverso la già richiamata legge 280/2003.

La clausola compromissoria, per altro verso, non necessita di approvazione scritta (ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c.) in quanto essa non attiene all’attuazione di condizioni generali di un contratto predisposto da un contraente, ma all’adesione delle parti all’organizzazione sportiva ed all’accettazione dei conseguenti vincoli.
Tale strumento della giustizia sportiva, non va, quindi, inteso in deroga alla operatività della giurisdizione statale ma piuttosto come una forma di estrinsecazione della “giustizia privata” riguardante i diritti cosiddetti disponibili, la quale si realizza attraverso la volontà degli stessi privati, nel quadro degli strumenti che l’ordinamento statale consente in tema di arbitrato (artt. 806 e se- guenti c.p.c.).
La disciplina della clausola compromissoria è stata oggetto di attenzione rispetto alla possi- bilità di un suo contrasto con i principi e le garanzie costituzionali riguardanti il funzionamento del- la giustizia e la risoluzione delle controversie tra cittadini.

Possiamo dunque giungere alla conclusione che le disposizioni federali e le conseguenti sanzioni non sono altro che la manifestazione di quel potere disciplinare che fa parte integrante dell’ordinamento delle associazioni e che si basa sulla adesione alle norme statutarie da parte dei soggetti affiliati. In conclusione di queste meri pensieri, possiamo dire che lo scopo di questo potere disciplinare è quello di tutelare la correttezza dei rapporti interni e di garantire all’associazione vita e funzionalità, nell’ambito di una comunità organizzata che, necessariamente, deve saper proporre un ordinamento giuridico autonomo. Fino al punto di vietare, in una materia regolata da apposite norme interne, il ricorso all’autorità ordinaria. Chi non rispetta tale divieto si colloca automaticamente al di fuori dell’ordinamento, ma questo non gli impedisce il ricorso all’autorità ordinaria, per la tutela di quei diritti soggettivi, originati sì dall’attività
  
L’intervento degli organi sportivi in via generale e quanto esplicitamente previsto per alcuni tipi di controversia (si pensi a quella di natura economica), può pertanto essere ricondotto alla figura dell’arbitrato.
Resta evidente che gli strumenti di giustizia privata utilizzati nell’ambito dello sport necessi- tano di affinarsi, ma è innegabile che tali strumenti rappresentano un indubbio vantaggio sia per lo Stato che per le stesse parti interesatte. Il primo risparmia risorse e tempo per potersi dedicare con maggiore attenzione ed efficacia a controversie vertenti su temi più generali e meno specialistici; le altre riescono ad ottenere, con sufficiente rispetto dei fondamentali principi procedurali, pronunce rapide, esecutive in tempi brevi ed affidate ad esperti del settore.


Conclusioni
I risultati ottenuti dalla ricerca ci permettono di confermare le ipotesi di partenza secondo cui esistono delle differenze nei diversi costrutti psicologici esaminati tra gli sport di squadra e individuali, tra sport con minore e maggiore contatto fisico, considerando anche le differenze all’interno della variabile genere.
Gli atleti che praticano sport individuali rispetto a coloro che si dedicano a sport di squadra sembrano essere maggiormente capaci di affermare le proprie esigenze e difendere le proprie idee. Raggiungendo i propri obiettivi senza creare sofferenza altrui e situazioni conflittuali.

Essi percepiscono un livello minore di preoccupazione cognitiva e di emotività quando affrontano situazioni ritenute importanti.
Manifestano una maggiore sicurezza interiore, sono più vivaci, esuberanti, sicuri ed espansivi.

Tenendo in considerazione la differenza all’interno della variabile genere, sembra emergere che i ragazzi facenti parte degli sport di squadra si percepiscano più capaci di mettere in atto azioni per raggiungere gli obiettivi prefissati rispetto alle ragazze.
Non esiste alcuna differenza tra i due generi relativa alle scale base del questionario di adattamento interpersonale, in quanto entrambi superano i limiti massimi relativi alle dimensioni passività, impulsività, narcisismo e stress in situazioni sociali.
Tenendo invece in considerazione le scale aggiuntive del questionario di adattamento interpersonale emerge che tutte le dimensioni per entrambi i sessi rientrano nella norma, al di fuori della dimensione “problemi psicosomatici” che sembrerebbero essere situati per i ragazzi che praticano sport individuali al di sotto dei valori minimi.


Negli sport di squadra le ragazze manifestano un livello di emotività superiore alla norma quando devono affrontare delle situazioni ritenute importanti, invece negli sport individuali la dimensione della preoccupazione cognitiva sembra risultare per i maschi persino al di sotto dei valori minimi.
All’interno degli sport di squadra i ragazzi presentano una scarsa energia nei confronti della vita, ed una ridotta percezione di sé come persone capaci di sentimenti ed affetti che favoriscono un rapporto soddisfacente con gli altri. Le ragazze invece desiderano percepirsi maggiormente più energiche, aperte e tolleranti. Al contrario le ragazze degli sport individuali desiderano soltanto essere più capaci di sentimenti che favoriscano buoni rapporti interpersonali.
Gli atleti che praticano sport individuali con una maggiore età presentano un’aumentata percezione di autoefficacia.
Coloro che percepiscono un maggiore senso di autoefficacia attribuiscono molta importanza al modo in cui vengono osservati e giudicati, vivono una situazione di stress che li mette nelle condizioni di reagire ad eventi esterni che devono essere affrontati e risolti, sono molto energici verso la vita e si percepiscono molto tranquilli e riflessivi.
Vivono in condizioni di bassa pressione ambientale e familiare, ritengono importante l’azione del soggetto per determinare il manifestarsi degli eventi, rivelando una ridotta presenza di tendenze depressive, problemi psico-somatici e preoccupazione cognitiva nelle situazioni ritenute importanti.
Nei soggetti in cui sono presenti maggiori tendenze depressive crescono i problemi psico-somatici, la preoccupazione cognitiva e l’emotività, diminuendo invece la tendenza ad orientarsi attivamente verso la vita, ad essere tolleranti e altruisti verso gli altri, manifestando un minore desiderio di ordine interiore.


E tra coloro che manifestano maggiori problemi psico-somatici cresce la preoccupazione cognitiva in situazioni ritenute importanti, diminuisce la percezione presente e desiderata di essere più energici insieme al desiderio di essere più tolleranti e altruisti.
Tra gli atleti che hanno un’alta percezione di sè come persone attive nell’orientamento verso la vita cresce la sensazione di essere capaci di stabilire buone relazioni sociali, di tranquillità e riflessività, desiderando un maggiore aumento in queste capacità.
Invece gli atleti con un alto livello di autoefficacia che praticano sport di squadra riescono ad affermare i propri principi e le proprie idee, sono più tranquilli e riflessivi e presentano minori tendenze depressive.
Coloro che vivono maggiori pressioni ambientali e familiari sostengono che gli eventi che accadono non sono determinati da loro ma dipendono solo dalle circostanze, hanno maggiori tendenze depressive e quando devono affrontare situazioni importanti nella vita presentano una maggiore preoccupazione cognitiva. La crescita di quest’ultima conduce i soggetti a percepire maggiore emotività quando affrontano delle situazioni considerate importanti, sono meno energici verso la vita, hanno un basso livello di ordine interiore, che viene ridotto anche dall’aumento della presenza dell’emotività.
In alcuni atleti in cui è presente un maggiore orientamento attivo verso la vita, è presente una più alta stabilità emotiva, tranquillità e ordine interiore, ed un maggiore desiderio di essere più sicuri e vivaci.
I soggetti che praticano sport in cui esiste un maggiore contatto fisico percepiscono un’alta sicurezza riguardo alla loro capacità di raggiungere gli obiettivi prefissati, riuscendo a risolvere problemi difficili quando provano in maniera decisa.
Alcuni di questi atleti presentano una maggiore capacità di difendere i propri principi, di affermare le proprie idee, e riescono ad instaurare buone relazioni interpersonali. 
Gli atleti che si percepiscono più capaci di raggiungere gli obiettivi prefissati presentano una maggiore preoccupazione della propria immagine sociale e un livello di stress utile per affrontare le situazioni, sono più energici e possiedono maggiore stabilità emotiva. Essi presentano una ridotta percezione della pressione ambientale e familiare, sono più convinti che gli eventi dipendano dalle proprie azioni, presentano minori tendenze depressive e problemi psicosomatici, ed infine manifestano una ridotta preoccupazione cognitiva quando i soggetti devono affrontare situazioni ritenute importanti.
Gli atleti che manifestano un maggiore livello di impulsività esprimono maggiori tendenze narcisistiche e preoccupazione relativa alla propria immagine sociale, sono più energici, manifestano minori tendenze depressive e problemi psicosomatici.
I soggetti che presentano un adeguato livello di stress in situazioni sociali sono più attivi nella vita, manifestano minore pressione ambientale e familiare, una bassa tendenza ad attribuire all’esterno le cause degli eventi che si manifestano, minori tendenze depressive e problemi psicosomatici, minore preoccupazione cognitiva ed emotività quando affrontano situazioni considerate importanti.
I soggetti che vivono con maggiore preoccupazione cognitiva le diverse prove importanti della vita manifestano maggiori problemi psicosomatici vivono le situazioni con maggiore emotività, percependosi con minore energia e poco ordine interiore.
Tra gli atleti che sono più energici, c’è una maggiore percezione di sé come persone capaci di sentimenti che favoriscono un rapporto soddisfacente con gli altri, ed un maggior senso di ordine interiore.

Gli atleti che praticano sport in cui c’è minore contatto fisico sembrano desiderare una maggiore sicurezza interiore ed essere più attivi nell’orientamento verso la vita. Essi inoltre desiderano essere più tolleranti, altruisti e sinceri, tratti che favoriscono un rapporto soddisfacente con gli altri.
Considerando le differenze di genere tra le due tipologie di sport è emerso che entrambi i sessi superano i limiti massimi per le dimensioni passività, impulsività , narcisismo e stress in situazione sociale, anche se i ragazzi rispetto alle ragazze superano di molto i valori massimi rispetto le dimensioni: passività e stress in situazioni sociali.